Shiva & Sfera Ebbasta: “Santana Money Gang” segna la fine di un’era trap

Nel 2025, Shiva e Sfera Ebbasta tornano a fare rumore con Santana Money Gang, un progetto collaborativo che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto segnare un ritorno alle origini, un manifesto per rivendicare libertà creativa, indipendenza e autenticità. Tuttavia, il risultato finale sembra raccontare una storia diversa: quella di un genere, la trap, che ha raggiunto la saturazione e fatica a rigenerarsi.

L’album arriva in un momento cruciale per l’urban italiano. Dopo quasi dieci anni di dominio assoluto, la scena trap sembra attraversare una fase di stanca. Le icone che l’hanno plasmata stanno cambiando pelle, cercando nuovi linguaggi, o si ritrovano intrappolate nei propri cliché. In questo contesto, Santana Money Gang nasce come celebrazione, ma suona come un’epigrafe.

Tra nostalgia e déjà-vu

Sfera e Shiva costruiscono l’album su una narrazione che vuole essere generazionale. Da un lato il veterano milionario di Cinisello, dall’altro il giovane cresciuto ascoltandolo, pronto a raccogliere l’eredità. Ma questa tensione – potenzialmente interessante – si dissolve rapidamente in una tracklist che alterna momenti catchy a ripetizioni sfiancanti di formule già usate.

I brani spaziano tra glorificazione del lusso, strada, relazioni tossiche e sessualità ostentata. Temi ricorrenti che, in passato, erano emblema di rottura e ribellione, ma oggi risultano appiattiti, più simili a una copia sbiadita che a una nuova dichiarazione di stile. Laddove una volta c’era rabbia e urgenza, ora c’è una confezione impeccabile ma prevedibile.

Anche la scelta dei produttori – Drillionaire, Finesse, 808 Melo – parla di solidità tecnica. Le basi sono potenti, internazionali, spesso irresistibili. Eppure, non basta. La cura nella produzione non riesce a mascherare la mancanza di visione complessiva. Non c’è un racconto coeso, non c’è un messaggio che tenga tutto insieme.

Tentativi di introspezione (ma non basta)

A salvare parzialmente il disco sono alcune tracce che mostrano brevi aperture più intime. “Neon” e “Paranoia” provano a scardinare la narrazione dominante, mostrando fragilità, notti insonni e crisi personali. Shiva in particolare cerca di spingere verso una scrittura più personale, mentre Sfera – più statico nel flow – sembra ancora ancorato a un immaginario che fatica a evolversi.

Il sample di “Lady (Hear Me Tonight)” in Maybach è una scelta furba e azzeccata: nostalgica, immediata, evocativa. Ma anche qui, l’effetto è più legato al passato che al futuro. Un revival che funziona ma non sorprende.

Le canzoni più esplicite, come “Over (Demo)” e “D&G”, cercano di spingere sul pedale della provocazione, ma sembrano più dettate dal dovere di “scioccare” che da una reale urgenza comunicativa. È il paradosso dell’estetica trap 2025: può ancora gridare, ma non sa più cosa dire.

Il tramonto di un’estetica

Santana Money Gang arriva come un disco tanto atteso quanto inevitabilmente problematico. Non è un fallimento artistico – la qualità c’è – ma è un’opera che fotografa un momento storico in cui la trap italiana ha smesso di essere avanguardia ed è diventata mainstream stanco. Un genere che, dopo aver scosso le fondamenta del pop nazionale, sembra ora in cerca di un nuovo posto nel mondo.

Shiva e Sfera, sebbene potenti nel nome e nel suono, qui sembrano più interessati a confermare uno status quo che a romperlo. Il risultato è un disco che non rischia, non osa, e soprattutto non sorprende.

Per chi ha vissuto gli anni d’oro della trap italiana – da “XDVR” a “Rockstar” – questo album potrebbe sembrare la colonna sonora di una festa che dura troppo a lungo, dove gli invitati iniziano ad andarsene e restano solo bicchieri vuoti e luci al neon.

La fine di un ciclo

Santana Money Gang non è un punto di svolta. Non è un passaggio di testimone. È il termometro di un genere che ha detto tutto ciò che poteva dire e ora si guarda allo specchio, chiedendosi quale sarà la prossima forma da assumere.

E, forse, anche per Shiva e Sfera, è il momento di cambiare ritmo, cambiare pelle, e riscrivere il proprio linguaggio. Perché la trap, così com’è, non basta più.